Edizione

 

Il mio interesse per l’italiano e le altre lingue, per la cura redazionale, per la scrittura e per l’edizione viene da lontano. Fin dall’età di otto anni leggevo libri di autori italiani e stranieri (tradotti), che mio nonno collezionava e leggeva negli intervalli dai suoi impegni quotidiani. Trascorrevo ore e ore a cercare parole sul dizionario, perché il linguaggio di quei libri non era “semplificato”, come nei libri di scuola o in quelli per l’infanzia. In realtà non mi limitavo a cercare le parole che non capivo: sfogliavo il dizionario come se mangiassi ciliegie, ciascuna parola apriva mille finestre alle quali il mio sguardo curioso e goloso si affacciava per trovare altre immagini, altre parole. È un vizio che mi è rimasto, ma incomincio a considerarlo una virtù. La virtù per Leonardo da Vinci era ciò che per Machiavelli era la forza e per Freud la pulsione (Trieb, “spinta”). Da sempre, avverto una forte spinta nella ricerca delle parole, è forse la stessa cosa che mi spinge a parlare e m’impedisce di tacere, anche quando sembra sconveniente o sembra non ce ne sia bisogno. Parlare, ascoltare, leggere, scrivere: così la vita diviene semplice.

Freud ascoltava i racconti che intervenivano nell’analisi come novelle, non per farne l’anamnesi, ma per intendere in che modo un significante, rimosso, funziona come nome adiacente a un altro significante. E per capire in che modo il lapsus, le sbadataggini, il motto di spirito, l’umorismo dessero eco di un’altra scena, la scena dei sogni, ma anche di un racconto dell’avvenire, di ciò che sta dinanzi, non del passato o di ciò che si presume tale. (Essenziali a questo proposito i suoi tre saggi linguistici: Come intendere le afasie, Psicopatologia della vita quotidiana e Il motto di spirito).
E a proposito della “rimozione”, Freud diceva che si poteva paragonare a un “incidente nella traduzione da un registro all’altro” (dall’inconscio al preconscio o al conscio, secondo la prima topica). Contribuire alla “traduzione” era quindi per l’inventore della psicanalisi una pratica di ascolto come cura della parola che chiede udienza, non come correzione di ciò che non va e non funziona secondo il senso comune attribuito alle parole. Soltanto con questa attenzione alle sfumature linguistiche, ciascuna analisi non ha nulla di patologico, perché ciascuna cosa che si enuncia in una conversazione non è mai da prendere realisticamente, ma da ascoltare per l’eco di una logica particolare e specifica di un testo che va scrivendosi in direzione della cifra.

 

La mia pratica di traduzione, redazione, cura editoriale, scrittura

 

Tra il 1988 e il 1989, subito dopo la laurea in Lingue e letterature straniere all’Università di Bologna, tradussi il libro di Kate Fullbrook, Katherine Mansfield, per la casa editrice Clueb, in collaborazione con Jamilè Morsiani, mia relatrice nella tesi di laurea. Avrei proseguito con lei a tradurre altri libri, se non avessi incontrato a Milano l’editore Armando Verdiglione (psicanalista, linguista e scienziato della parola), che mi suggerì di frequentare l’équipe di Bologna, diretta dallo psicanalista Sergio Dalla Val (che sarebbe poi divenuto mio maestro), dove, tra l’altro, si discutevano testi da redigere o da tradurre per la casa editrice Spirali.
La mia esperienza redazionale fu subito entusiasmante: per tradurre dall’inglese il saggio di Yehuda Rav, Problemi filosofici della matematica alla luce dell’epistemologia evolutiva (pubblicato su “La cifra”, n. 3, maggio 1989), ebbi l’opportunità di confrontarmi con uno dei più importanti logici e cifrematici viventi, Alessandro Atti, che m’insegnò un rigore e uno stile indispensabili per una traduzione che restituisca il testo nella sua autenticità. Quella esperienza avviò una pratica editoriale che andava al di là delle dispute accademiche per stabilire se dare priorità al senso o alla lettera.
Di lì a pochi mesi, collaborai alla traduzione del romanzo di Guy Scarpetta, L’Italia, che poi presentai a Firenze al Gabinetto Viesseux (17 ottobre 1990).
Ma la mia prima vera e propria avventura nell’arte della traduzione la devo al romanzo di Serge Gavronsky, Il nome del padre (1993). In questo caso, ebbi la fortuna di confrontarmi con la scrittrice, presidente della casa editrice Spirali, Cristina Frua De Angeli: conservo ancora i quaderni con la raccolta dei felici risultati inaspettati del lungo peregrinare tra il sentiero dei nomi e il sentiero dei significanti.
Qualche anno dopo, fu la volta del romanzo francese di Denis Roche, Lupa bassa (1995), con il contributo di un’altra finissima scrittrice, Alessandra Tamburini. Quando venne in Italia per presentare al pubblico la traduzione del suo libro, l’autore mi chiese come avessi potuto tradurre tutte quelle scene “sconce” che traboccavano dal suo romanzo. Gli risposi che, da un anno, avevo avviato la pratica come psicanalista: se c’è qualcosa che nell’analisi entra a pieno titolo è proprio ciò che nel luogo comune è considerato tabù.
Intanto, dal 1993, per trasmettere le mie acquisizioni a giovani laureati che volevano cimentarsi nell’editoria, avevo organizzato corsi di traduzione e redazione, con il patrocinio del Comune di Modena, e nel 1994 avevo aperto la Scuola europea di editoria, che organizzava corsi semestrali a Modena e a Firenze. Con gli allievi della Scuola, abbiamo tradotto diverse opere fra cui Harold Bloom, Poesia e rimozione, Dominique Desanti, Gli anni passione, Ernesto Battistella, Logica matematica e industria della parola. Il secondo rinascimento in America Latina.
Un altro libro importante che ho tradotto (con Alessandra Guerra) tra il 1999 e il 2000 è La battaglia per la salute, di Thomas Szasz, il grande psichiatra americano, autore di uno dei manifesti dell’antipsichiatria, Il mito della malattia mentale, che in quel periodo tenne un master all’Università internazionale del secondo rinascimento.
Nel corso degli anni, oltre alle traduzioni, sono usciti diversi miei articoli e saggi nelle riviste “Il secondo rinascimento” e “La cifrematica” e negli atti dei congressi, che si possono trovare nella sezione “pubblicazioni” di questo sito.
Nel 2000, insieme a Sergio Dalla Val e altri intellettuali, ho fondato la rivista “La città del secondo rinascimento“, che ospita gli esiti di dibattiti internazionali e intersettoriali, organizzati in varie città, e la testimonianza di imprenditori e protagonisti del nostro tempo di vari paesi e ambiti della società. Restituire in qualità il testo di conversazioni o di interventi registrati è un esercizio di redazione e di scrittura impagabile, è un’esperienza cifrematica, considerando che la cifra è la qualità verso cui tendono le cose e ciascun testo occorre che restituisca la cifra di una conversazione o di un intervento. È un’esperienza che giova alla salute, perché la salute è istanza di qualità della vita: la vita approda alla qualità quando le cose si scrivono, anziché quando sono affastellate o raffazzonate. C’è qualità se c’è un processo di qualificazione. E la redazione è proprio ciò che contribuisce maggiormente alla qualificazione di ciò che si dice e, dicendosi, si fa. Anche il progetto e il programma esigono, per ciascuno, la cura redazionale. Pensate alla differenza tra un bel resoconto e un ammasso di appunti in ordine sparso. Quale imprenditore, manager, tecnico, professionista, studente, ricercatore, scienziato, artigiano, artista, impiegato oggi può fare a meno di parlare e scrivere nel proprio lavoro? Oggi va di moda lo storytelling, ma senza la cura redazionale il racconto è illeggibile e inascoltabile.
Il redattore, come lo psicanalista, il cifrematico, o come Niccolò Machiavelli, ascolta e legge i testi che si vanno scrivendo per “farne capitale”.
Proprio per questo, dall’esperienza con l’équipe di redazione della rivista “La città del secondo rinascimento”, a Bologna, a Ferrara e a Modena, è nato nel 2016 il Centro di scrittura per l’impresa “Il capitale intellettuale”, che offre agli imprenditori, ai manager, ai responsabili marketing e comunicazione delle imprese italiane strumenti per la valorizzazione del patrimonio intellettuale attraverso la scrittura.